Monte Claro – Cagliari – Ottobre 2015
SARDEGNA, CUORE DI CIVILTÀ
“La tradizione non si può ereditare e chi la vuole deve conquistarla con grande fatica”
T.S Eliot
Potrà sembrare strana ai più la scelta di una cornice artistica come quella proposta, per un festival come questo. Cosa mai può unire donne in costume e maschere sarde con i riditi umani? Ad un primo sguardo nulla, sicuramente, ma ad una più attenta analisi forse non è così. Sono convinto che per essere in grado di conoscere gli altri, non si possa prescindere dal conoscere se stessi; credo fermamente che per il rispetto del “diverso da noi”, si debba essere abituati a rispettare ciò che ci è simile e familiare. È da questo assunto che ho deciso di partire. Sarebbe stato troppo facile scegliere un gruppo di opere figurative aventi per soggetto dei richiedenti asilo o delle belle tele astratte sul concetto di uguaglianza o magari contro la tortura. Invece no. Trattandosi di una “cornice artistica”, non di una vera e propria mostra, ho semanticamente scelto di dare alla cornice il suo vero e unico compito, quello di focalizzare lo sguardo su ciò che contiene, di isolare il contenuto del “testo” per mostrarcelo come unico riferimento da prendere in esame, escludendo ciò che gli sta attorno. Ecco allora la scelta del filo conduttore di questa esposizione, volutamente ricalcante tematiche isolane, al fine di ricordare a tutti che la nostra isola è una culla, da sempre generosa, capace di unire diversità e rispetto, tradizione e progresso, diritto e dovere. Non propriamente cose facile. Isola che non si isola, che non isola, ma che isola una tematica, accogliendola, esprimendola a suo modo ed evidenziandola: “Il popolo sardo, come i popoli venuti ultimi alla civiltà moderna e già fattisi primi, ha da rivelare qualcosa a se stesso e agli altri, di profondamente umano e nuovo”. È stato, guarda caso, proprio Emilio Lussu ad illuminarmi con le sue parole, a dirmi che era la via giusta da seguire: non potevo ignorare questo nostro modo di essere, questa “sardità” profonda che non si può spiegare ma solo vivere. Leggete dunque l’esposizione, non limitatevi a guardare perché attraverso queste immagini possiate giungere al messaggio che la cornice stessa vuole proporre: esternare e mettere in rilievo le proprie radici e la difesa della propria tradizione è sinonimo di libertà, di una libertà così profonda che è data non dalla chiusura ma dall’apertura e dal confronto. (…)
L’omaggio ultimo di Laetitia Autrand, presa a simbolo di chi viene da fuori, vuole essere l’ennesimo accento: i nostri riti visti dall’esterno, affascinano, insegnano e fanno di questa splendida terra, una culla di civiltà.
Dott. Luca Giovanni Masala